Casa museo Sigfrido Bartolini

Museo Virtuale

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I Monotipi

Sigfrido Bartolini e il Monotipo

Sigfrido Bartolini si dedica a questa tecnica giovanissimo, tra il 1947 e il '55. Costretto ad un impiego commerciale, l'artista utilizza il suo tempo libero per realizzare opere con la tecnica del monotipo che gli permette di poter lavorare con la luce artificiale. Bartolini esegui' circa 150 monotipi, fogli di grande spontaneita'monotipi1 e felicita' cromatica. Apprezzati da Soffici, che ne fu il primo estimatore, i monotipi di Sigfrido Bartolini rappresentano un episodio vitalissimo e singolare dell'arte italiana, soprattutto degli anni Quaranta e Cinquanta.

La Tecnica

Il Monotipo si esegue dipingendo con particolare attenzione su una lastra di vetro o di metallo, usando inchiostri tipografici o normali colori a olio. Una volta eseguito si stampa subito, a colore fresco, un solo esemplare (da cio' il termine mono-tipo) ponendo sul dipinto un foglio di carta inumidito, un leggero feltro di protezione e, in mancanza di un torchio, rullandoci sopra a mano con una bottiglia. Sul foglio l'immagine risultera' rovesciata. Il risultato ricordera' la freschezza dell'acquerello, la vaporosita' del pastello e la forza dell'olio curiosamente combinati, una certa casualita' rientra nella regola. Il monotipo e' un dipinto a olio al quale, in corso d'opera, viene cambiato il supporto e nel passaggio dalla lastra alla carta acquista le proprie caratteristiche. Errato definire il monotipo una stampa, sia pure originale.

Testo di Sigfrido Bartolini sui Monotipi

(Da una lettera di Sigfrido Bartolini a Mario Richter)

Ebbene, ad un certo momento mi misi a fare questi monotipi che sono un po' una cosa a parte, nel senso che interrompevano lo studio del paesaggio all'aperto per scenette cittadine, magari appuntate a lapis sul vero, ma dipinte in studio. Iniziai nel 1949, ma non a caso o per particolari interessi, ma perche' avevo iniziato a lavorare per guadagnare, ricordi lo scritto che, anni dopo mi dedico' Soffici?...preso dalla necessita' di guadagnarsi il pane...ecc. ; ero occupato dalle 8,00 del mattino alle 8.00 della sera e quindi non avevo piu' il tempo per andare per i campi a dipingere. Il monotipo potevo farlo a casa, la notte o la domenica, ma soprattutto la notte, e poiche' stavo sempre in citta' disegnavo cio' che mi trovavo a portata di mano e che mi interessava di piu'. A Pistoia in quegli anni (attorno al 1950) esistevano ancora stradette piene di stalle, e cavalli e barrocci avevano ancora un loro ruolo nei trasporti urbani; inoltre poveri suonatori ambulanti, parchi divertimenti, interni, giuochi dei bambini, e infine figurazioni di un trionfo della morte che voleva essere un mio ingenuo monito, un invito all'onesta' e che per la parte funerea mi era suggerito dalla lettura del Poe e dalla frequenza in un cimitero cittadino dove accompagnavo e dirigevo gli operai della ditta di imbianchini-decoratori che avevo da condurre. Un mondo che presentivo alla fine, che era quello della mia infanzia, e che volevo fermare nei suoi aspetti piu' curiosi e popolareschi; un certo popolo esisteva ancora, quello che abitava in casette tinte di rosa, senza bagno, ma con i gerani sulla finestra e il mazzetto di fiori sempre freschi al tabernacolo incastrato nella facciata. Adoperavo colori puri e schietti come quel mondo mi suggeriva, per un certo periodo adoperai tre soli colori (con tutte le combinazioni che potevo trarne) perche' avevo pochi soldi: giallo, rosso lacca e bleu oltremare, e stampavo su fogli di carta gia' usati da una parte, sul retro trovi spesso disegni geometrici o acquarellucci. Fogli che mi avevano regalato a scuola, prove di ragazzi del passato. Fu un periodo che termino' da se', per logico esaurimento, se avessi continuato sarei finito nella avvilente ripetizione (di tipo Campigli, o Capogrossi), bisogna stare molto attenti in questo, quando si sente che il dirsi e' detto occorre chetarsi e cambiare discorso. Quel mondo cessava ed io avevo ormai altri occhi, finito un certo spirito, insistere voleva dire cambiare tutto e pensare alla composizione di figure nell'ambiente con tale ordine di lavoro quale il monotipo non avrebbe permesso. Avvertii tutto questo molto chiaramente, ripresi a dipingere il paesaggio dal vero (la domenica) ma duro' poco perche' arrivo' come un salvatore il servizio militare che segno' il necessario stacco tra adolescenza e virilita', o meglio: tra il giovane e l'adulto. Come ti ho detto, contemporaneamente ai monotipi, feci anche alcune puntasecche, il tema dei baracconi, quello del pagliaccio e altri (penso di inserirne un paio nel testo, riprodotte in nero come sono) conservano nell'incisione lo stesso spirito.... Come imparai (ma e' semplicissima come tecnica) a fare il monotipo? Vedendone di gia' fatti, uno del pittore Bugiani e un altro di Romeo Costetti (fratello di Giovanni), mi fu detto come si faceva, tornai a casa e iniziai. Del resto, anche per l'acquaforte e la xilografia accadde cosi', non ho mai avuto chi si sia perso a insegnarmi, descrizioni udite e la realizzazione da solo, nella quiete della casa."

( Sigfrido Bartolini, lettera a Mario Richter, 1982)